Dopo il Sudafrica, toccherà a Madrid, Londra e Tokyo
Per gli hackers è cominciato un conteggio alla rovescia (forzato) che, per il momento, promette solo la fine delle loro ostilità. Grazie alla meccanica quantistica, cioè quanto di più sofisticato e, ai più difficilmente comprensibile, che la fisica possa esprimere. La città di Durban, in Sudafrica, ha realizzato in questi mesi la prima rete cittadina «anti- hackers». Collegati fra loro sono gli edifici municipali di Pinetown, Westville e Cato Manor. La parola magica che la difenderà è «crittografia quantistica», cioè la scienza dei codici segreti che fa ricorso alla teoria da cui è partita la fisica moderna. Il «padre» era Max Planck e l'annunciava in una conferenza a Berlino il 14 dicembre 1900. Da allora è iniziata una lunga storia segnata da illustri controversie (Einstein non ci credeva, pur avendo contribuito) e che solo di recente ha aperto la finestra alle prime applicazioni. Tra quelle più desiderate c'è il computer quantistico che porterà una rivoluzione che oggi nemmeno siamo in grado di valutare pienamente.
Il primo passo che sta raccogliendo successo riguarda appunto la «Quantum Key Distribution (QKD)» realizzata inviando segnali su fibre ottiche. L'ultima significativa sperimentazione è stata compiuta nell'ottobre 2007 a Ginevra durante le elezioni con un collegamento tra la stazione di raccolta dei conteggi e il Data Center del governo. Grazie al successo di questo progetto pilota il Cantone di Ginevra ha deciso che la tecnologia «QKD» sarà impiegata in tutte le future elezioni. Ma se Durban è la prima città al mondo ad accendere una rete del genere, nel 2010 si aggiungeranno altre tre città: il governo di Tokyo completerà i collegamenti fra tutti i ministeri e pure Madrid e Londra avranno ultimato la loro prima rete metropolitana.
«Questa tecnologia proposta negli anni Ottanta e sperimentata in laboratorio negli anni Novanta, finalmente dai primi anni Duemila consente le prime applicazioni industriali — spiega Erwan Bigan della svizzera Swisscom — Ma sono ancora pochissime le società impegnate su questa frontiera che trova resistenza ad essere applicata nonostante gli indubbi vantaggi». Sviluppi e possibilità sono emersi dalla Conferenza internazionale «Quantum Information Processing and Communication» tenuta per la prima volta in Italia, all'Università La Sapienza, a Roma dove queste ricerche erano state avviate da Francesco De Martini. Il motivo, infatti, è che presso l'ateneo è attivo un piccolo ma agguerrito gruppo di ricercatori ormai di fama internazionale che lavora teoricamente e praticamente sull'argomento il quale deve la sua fama alla fantascienza perché utilizza i principi del teletrasporto resi celebri da Star Trek.
«Seguendo la via più semplice, manipoliamo i fotoni con le proprietà della fisica quantista — spiega il professor Paolo Mataloni alla guida del gruppo nel Dipartimento di fisica —. Così riusciamo a costruire una rete nella quale far viaggiare informazione in maniera inviolabile. Tutto si basa sulla polarizzazione dei fotoni in modo random e come ciò avvenga lo sa chi invia il messaggio e chi lo riceve, soltanto se prima ha ricevuto la chiave di interpretazione. Inoltre, qualsiasi tentativo di intrusione nella rete viene subito riconosciuto perché altera la comunicazione ». In Italia ci sono alcuni altri gruppi di ricercatori impegnati in questo campo. Nelle Università di Firenze e Pisa si fa ricorso ad un'altra tecnica (Bose-Einstein Condensation) nella quale sono protagonisti invece dei fotoni, delle particelle atomiche chiamate bosoni portate a temperature vicine allo zero assoluto (meno 273 gradi centigradi). Nelle università di Torino e Camerino si fa ricorso, come a Roma, ai fotoni e a Camerino è nata pure una start-up, una società che inizia a commercializzare i risultati.
L'obiettivo ambito rimane però il computer quantistico nel quale il bit classico viene sostituito dal Qubit, cioè dal «Quantum bit», il «quanto di informazione quantistica » nel quale le basi del conteggio dei computer classici «zero» e «uno» si manifestano in molti modi nello stesso momentoamplificando eccezionalmente la capacità di elaborazione.
«Nel nostro laboratorio — racconta Mataloni — manipolando due fotoni siamo arrivati ad una capacità di 6 Qubit. Ora siamo in gara per condividere un progetto di ricerca europea che entro tre anni mira a realizzare un microprocessore da 20 Qubit, mattone fondamentale del futuro computer quantistico il quale si trova oggi allo stesso livello offerto dagli elaboratori tradizionali negli anni Cinquanta». L'Europa, in questo campo, è in una posizione di primo piano a livello internazionale, per nulla inferiore agli Stati Uniti o al Giappone. Se si saprà mantenere, per il Vecchio Continente, dalla fisica quantistica che ha generato teoricamente potrebbero emergere anche preziose applicazioni pratiche.
Giovanni Caprara
26 settembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
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